lunedì 17 dicembre 2007

martedì 11 dicembre 2007

Pietrangelo Buttafuoco "Il Teatro deve vivere sulle proprie forze" - di Francesco Liotta e Giosuè Gullotta


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Nell’ambito del nostro Forum abbiamo incontrato il giornalista Pietrangelo Buttafuoco che, da maggio scorso, ha le redini del Teatro Stabile di Catania in qualità di Presidente del CdA, e con lui abbiamo voluto capire quali scenari si aprono per il futuro del teatro e quali possibili coinvolgimenti per le strutture teatrali del nostro comprensorio.
Tutti conosciamo il Buttafuoco giornalista e scrittore che divide la propria esperienza “consolidata” tra carta stampata e Televisione, come mai questa scelta gestionale/amministrativa di una struttura teatrale?
Prima di tutto perché mi piace il teatro, perché è una mia passione profonda da sempre, e poi perché, vivendo a Roma e quindi “in continente”, come da linguaggio caro al classico canovaccio teatrale, questa cosa mi ha costretto a misurarmi con una cosa vera, pesante e dura che è il ritorno a casa; per noi siciliani è uno spasso poter criticare dal di fuori la Sicilia, mentre difficilissimo è “metterci mano”.
Questa è l’occasione per provare a metterci mano!

Quale segnale di rottura con le passate gestioni ha voluto dare sulla scelta degli spettacoli in cartellone?
La rottura non vi è stata ancora, infatti, nella prossima stagione cercheremo di innestare in cartellone opere che sono riferimenti, non banalmente frutto dell’attualità, ma che sono espressione viva di quella letteratura, drammaturgia ed anche cronaca e storia che questa città offre.
Un esempio per tutti è l’opera di Ottavio Cappellani “Sicilian Tragedy”, libro di grande successo e fonte di divertimento tra i tanti lettori, che ritengo possa diventare un grande spettacolo.
Pertanto, con il rispetto dovuto a Baudo e Torrisi che hanno portato il teatro ad altissimi livelli, spero che le nostre scelte riescano a mantenere questa eccelsa qualità.

Passiamo all’aspetto prettamente economico, relativamente agli abbonamenti l’innovazione degli abbonamenti differenziati per “carte” ha dato i frutti che vi eravate prefissi?
Tale strategia nasce da una necessità, non tutto il pubblico è omogeneo: una volta si immaginava un pubblico che andava a Teatro per seguire quelli che erano i canovacci classici, vedi Pirandello o Beckett per arrivare a Goldoni, ma adesso l’esigenza è quello di andare incontro a pubblici diversi, sia per riferimenti culturali che per riferimenti generazionali, che, nell’approccio prettamente di mercato, hanno la loro pregnanza.
Quindi è fondamentale cercare di proporre un cartellone che, il più possibile, sia scomponibile e adattabile a ciascuno e dove ciascuno possa seguire il proprio percorso.
I numeri ci stanno dando ragione, infatti, mi piace evidenziare una curiosità, che la somma degli abbonati tra Teatro Stabile e Teatro Massimo supera il numero degli abbonamenti sottoscritti al Catania Calcio, ogni tanto la cultura supera lo sport.
Resta ovvio che questa struttura ha una responsabilità forte per il nostro territorio, infatti, vi è una forte necessità di dilatare le presenze degli spettacoli ben oltre quella che potrebbe essere la piazza principale.
Proprio per questo stiamo studiando la possibilità di creare dei botteghini portati nei centri limitrofi ed organizzare una serie di agevolazioni logistiche (leggi pullman) tali da portare a teatro più persone possibili e far vivere il Teatro di forza propria.

Ritiene che possa essere una strategia esortabile su realtà più provinciali?
Se consideriamo dal punto di vista economico cioè dei guadagni, la produzione cosiddetta culturale è in posizione di leader rispetto al fatturato di qualsiasi industria italiana.
Il cosiddetto “sbigliettamento” delle mostre e degli spettacoli teatrali, vedi Mantova o Pordenone o altre realtà dove, oltre che successo viene creato anche denaro, è fondamentale per l’economia di molte città e, specialmente in realtà come le nostre, essa può essere il volano per uno sviluppo territoriale inteso anche dal punto di vista economico.
Quindi non è stravagante pensare a Catania, fulcro da cui dipendono, non solo la sua provincia ma anche le altre province siciliane, possa diventare la fornace da cui sia generata cultura ed economia.
Ecco perché il Teatro Stabile, conscio della propria responsabilità sul territorio, si pone non solo mero combinatore di cartelloni al proprio pubblico ma anche sollecitatore di altre forme di crescita culturale ed in quest’ottica che questa struttura ha affrontato l’organizzazione e la gestione di una bella mostra a Castello Ursino e, a febbraio, la partecipazione attiva alla riapertura del Museo Biscari.
Con questo non voglio nascondere che la situazione non facilissima dei teatri italiani, dal punto di vista prettamente economica, ma un fatto innegabile è che le sale sono piene ed io, essendo stato sempre contrario al cinema assistito non vorrei essere succube di un teatro assistito.
Per questo immagino un Teatro Stabile che, dal prossimo anno, potrà offrire spettacoli che potranno essere venduti su altri palcoscenici italiani e stranieri.
Ricordiamo che questo è il Teatro della tradizione di Angelo Musco o del premio Nobel Pirandello, per continuare con Turi Ferro.

Visto che il nostro periodico si pone come “pungolo” e “suggeritore” per le nostre Amministrazioni, vorremmo focalizzare l’attenzione, oltre al teatro di Biancavilla, su Adrano dove esiste un teatro che, senza timore di smentita, possiamo definire tra i più belli e “storici” della nostra regione, attualmente ristrutturato e abile ad essere utilizzato, ma senza finora grossi risultati, cosa è necessario per una buona stagione teatrale?
Se prendiamo a esempio Chiaramente Gulfi dove è stato partorito e creato uno dei romanzi di maggior successo degli ultimi anni “Terra Matta” di Vincenzo Rabito, un testo pubblicato da Einaudi, che ha suscitato grande interesse e curiosità.
Parlo di questo luogo molto simile ai nostri, perché in ognuno dei nostri, pur piccolissimi, mondi troviamo questi grandi universi, ed ogni singolo teatro scavando nella propria memoria chissà quanti tesori può trovare.
Tutto sta a saperli cercare, in fondo le storie sono come i tartufi che stanno sottoterra, ed il teatro serve a questo, a far rivivere e mettere in scena; bisogna saper coniugare la ricerca alla qualità ed al gusto.

Vede una possibile collaborazione tra la Vs struttura e i Teatri del nostro comprensorio?
Come Teatro Stabile abbiamo già rapporti diretti con l’Università di Catania e Enna, e stiamo rinverdendo rapporti concreti con i teatri delle altre province come quelli di Ragusa e di Enna ed anche con quelli della provincia di Catania.
Infatti, dal momento del mio insediamento ho creato una mappa di tutti quei teatri che, per collocazione e caratteristiche strutturali, possano sostenere lo standard tecnico e qualitativo delle nostre produzioni e quello di Adrano è rientrato in questi parametri, come quello di Comiso o di Noto.

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questo punto prima di lasciare il nostro amico/ospite, come da buona chiacchierata che si rispetti, vorremmo chiedergli quali sono i suoi programmi per il futuro, oltre naturalmente al suo impegno relativo al Teatro; lo vedremo ancora in televisione e quando avremo il piacere di apprezzare un altro suo romanzo?
L’esperienza televisiva rientra nel mio essere giornalista, ma non è un capitolo fondamentale della mia attività professionale visto che è la scrittura che mi da maggiori soddisfazioni, il video è una cosa saltuaria che valuto secondo le occasioni.
A Gennaio uscirà il prossimo romanzo dal titolo “l’Ultima del Diavolo”, che racconta l’ultima tentazione che il diavolo ha offerto agli uomini, cioè quella di cancellare dalla terra le tracce di Bahira, un padre del deserto cristiano che riconobbe per primo, in Maometto bambino, il fondatore dell’Islam.
Ma il resto lo leggerete sul libro.

Non possiamo salutarci senza chiedere cosa rappresenti Adrano per Pietrangelo Buttafuoco.
Adrano è sicuramente una delle mie “tane”, dove si conclude e si dischiude il fazzoletto di amici e dove torno sempre con tanto piacere.

A questo punto con ci resta che ringraziare Pietrangelo augurandogli, ed augurandoci, di continuare, tra un “Panorama” ed un “Foglio”, a deliziarci con le arguzie della sua penna.
Ma non possiamo lasciarci sfuggire l’occasione per chiedergli di contribuire, dalla sua posizione privilegiata, a creare anche nel nostro territorio, quel circolo virtuoso possibile tra Cultura ed Economia, aiutandoci a utilizzare, in maniera intelligente i nostri teatri, giusti depositari di sapere e impresa.


A cura di Francesco Liotta e Giosuè Gullotta

FORUM




giovedì 22 novembre 2007

sabato 17 novembre 2007

venerdì 12 ottobre 2007

Inchiesta: Adranvilla o BiancAdrano, utopia o realtà? futuro della ex SS 121 - "di Angelo Abbadessa e Giosuè Gullotta"

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Sulla ex S.S. 121, la strada che congiunge i due centri abitati di Adrano (Via Casale dei Greci) e Biancavilla (Viale dei Fiori) è un susseguirsi interminabile di incidenti, di piccola o grande entità. Nel primo caso il danno è limitato all’interruzione del traffico (già tremendo) e a qualche ammaccatura alle automobili; nel secondo, giovani vite sono state spezzate. Piangerle, organizzare e partecipare a cortei, gridare in TV il proprio disappunto, dibattere sulla messa in sicurezza della pericolosa arteria, E’ INUTILE. Se non si pianifica e si programma un cambiamento vero, E’ INUTILE. Se non si passa dalle parole ai fatti, E’ INUTILE. Chi di dovere deve trovare il tempo e lo spazio per sedersi a realizzare alternative ad una strada che non ha ragione di esistere come via di collegamento, essendo – di fatto – divenuta la più importante arteria commerciale per entrambi i paesi, il cui destino – piaccia o no – è quello di vedere nel medio termine i due centri abitativi unirsi. E la ex S.S. 121 è la naturale via di congiunzione: è già una realtà evidente a tutti.
Allora la soluzione, per non imprescindibile, è quella di trovare un’alternativa alla ex S.S. 121 e non continuare ad intervenire su una strada che ha cambiato destinazione d’uso.
Come fatto in altre occasioni, convinti che questo è il dovere di un giornale locale che ha come unico fine lo sviluppo del territorio, proponiamo un suggerimento senza avere la pretesa di volere trovare una soluzione tecnica, ma solo per dare un modesto contributo di idee che possono essere perfezionate da ingegneri e tecnici.
Il Comune di Biancavilla ha già avviato la costruzione della Circonvallazione Nord, creando uno svincolo di congiungimento con la Superstrada. Tale nuova arteria attraverserà la parte Nord di Biancavilla e troverà sbocco proprio sul Viale dei Fiori, passando a Nord del Cimitero.
E’ altresì noto a tutti che il Comune di Adrano ha da tempo progettato una nuova strada che dovrebbe congiungere il centro abitato (all’altezza del Liceo Scientifico) con lo svincolo della superstrada di Adrano Sud (già esistente in prossimità dello Stadio dell’Etna).
A ben guardare (come è chiaro dall’allegata mappa)le due nuove arterie potrebbero trovare una – direi – naturale unione con la progettazione e la creazione di una NUOVA e AMPIA strada di collegamento dei due centri che potrebbe seguire idealmente il nuovo tracciato ferroviario della FCE e totalmente priva sia di abitazioni che di coltivazioni.
La nuova arteria creerebbe notevoli vantaggi:

1) ridurrebbe i tempi di percorrenza;

2) darebbe alla ex S.S. 121 il suo stato di strada commerciale urbana;

3) consentirebbe un rapido spostamento ai veicoli di emergenza (autoambulanza, 118, Vigili del Fuoco) che devono sempre fare la spola fra i due paesi;

4) allevierebbe il traffico pesante cittadino in entrambi i centri;

5) farebbe nascere attorno una bella area a verde che potrebbe essere attrezzata a Parco InterComunale con servizi vari quali piste ciclabili, area pattinaggio, parco giochi per bambini, jogging;

6) svilupperebbe ulteriormente il senso di appartenenza ad una comunità unica e ridurrebbe anacronistici campanilismi.
Tutto ciò non può essere lasciato all’autonoma attività di un singolo amministratore temporaneo, ma deve essere pensato, ideato, progettato, programmato, pianificato e REALIZZATO. Per ciò sarebbe opportuna la creazione di un Comitato Tecnico Politico che lavori a questa idea con tempi certi e prestabiliti.
Noi riteniamo tutto ciò possibile. Basta volerlo.


Giosuè Gullotta e Angelo Abbadessa

Carmelo Rao "Il Piano di Viabilità urbana ad Adrano? è necessario! è dettato dalla Legge" - di Francesco Liotta e Giosuè Gullotta


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mercoledì 12 settembre 2007

Mario Grasso - Direttore Castorama "Etnapolis, il coraggio dell'Imprenditoria siciliana" - di Francesco Liotta e Giosuè Gullotta


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Mario Grasso, 40 anni, di Biancavilla, sposato e padre di 3 ragazzi, dopo la licenza liceale, nel 1990 comincia la propria carriera nel mondo della grande distribuzione con Rinascente-Auchan, come allievo capo reparto a Merate (Lc), dopo una breve esperienza a Torino, nel 1991 diventa caporeparto a Curno (Bg), nel 1997 passa caposettore nel punto vendita di Taranto, dopo un’ulteriore esperienza a Piacenza torna a Catania, nel 1998, con l’apertura di S. Giuseppe La Rena e, continuando la propria crescita professionale, nel 2002 partecipa all’apertura del Centro Commerciale Auchan a Siracusa diventandone il vice direttore.
Nel 2004 l’incontro con la realtà Castorama, come Direttore del primo punto vendita siciliano, presso il “villaggio” Etnapolis.

Cominciamo la nostra chiacchierata cercando di capire come è organizzata la struttura “ETNAPOLIS”’?
Fondamentalmente si divide in tre corpi: il corpo A, che comprende tutte le grandi superfici, il corpo B che comprende l’ipermercato e 120 negozi, e il corpo C con il multisala ed il blocco ristorazione. Consta di due maxi parcheggi (uno interrato e l’altro sul tetto) e di parcheggi accessori come quello antistante Castorama e l’altro sul blocco ristorazione. Osserva orario continuato tutti i giorni dalle ore 9.00 alle ore 21.00 con delle variazioni sul fine settimana. Il cinema e i ristoranti rimangono aperti fino a notte fonda.

Come nasce il progetto?
Da un meraviglioso e coraggioso esempio di imprenditoria esclusivamente privata locale che ha voluto dare lustro ad una delle zone più belle e particolari, pedemontana e quasi marittima nel contempo, della provincia di Catania, perfettamente fruibile con estrema facilità da ogni parte della Sicilia.

Durante la costruzione del “progetto” una delle parole d’ordine era “A regime duemila assunzioni - Tra i candidati favoriti ci sono gli abitanti dell'hinterland” le aspettative sono state confermate? E se no quali sono stati i motivi?
Lei sa bene che i progetti sono assimilabili ai desideri. Ognuno di noi nel progettare casa propria vorrebbe riprodurre la reggia di Caserta. Poi però si accorge che dispone di soli 100 mq ed allora realizza un bell’appartamento. Bello, ma pur sempre appartamento.
Di sicuro però nel caso di Etnapolis la realtà attuale è molto simile al progetto. In tutto e per tutto.

Quanti sono gli esercizi commerciali operanti? E quanti appartengono a realtà del territorio? Cioè quanti hanno carattere di franchising e quindi legati a realtà nazionali e quanti invece sono piccoli commercianti che si sono scommessi personalmente?
Come accennavo prima, gli esercizi sono circa 120. Tutti locali in quanto anche la formula del franchising è imprenditoria allo stato puro. Quindi tutte scommesse di imprenditori locali.
Tranne ovviamente le grosse realtà come Castorama, Carrefour, Emmelunga, Media World e qualche altro nome che non mi viene adesso in mente.

Uno recentissimo studio di settore pubblicato dall’OCSI (Osservatorio Competitività e Sviluppo Imprenditoriale – Centro ricerche per il sud –est Sicilia) ha confermato che nel nostro comprensorio il tasso di crescita per il settore Commercio (periodo 2000-2006) è attestato attorno al -0,05% (cioè in piena perdita), considerando il Vs osservatorio privilegiato, in quest’anno di attività vi è stato un turn over evidente tra le attività presenti nel Centro Commerciale?
Parlare di turn over in un centro commerciale con neanche due anni di vita e che cresce a colpi di + 30% di clienti al giorno mi sembra un pochino prematuro, le pare?

Passiamo alla realtà Castorama a Etnapolis, come mai proprio a Catania?
Castorama approda in Sicilia a seguito di un progetto di espansione mirato a rafforzare la sua leadership sul mercato italiano, in armonia con il piano di espansione europeo ed orientale fortemente voluto da kingfisher, azienda capogruppo Inglese. Perché Etnapolis? Perché Etnapolis rappresenta il “campo base” dello sviluppo siciliano della grande distribuzione; perché si trova in bacino denso e ricco come quello catanese; perché è ubicato in un punto strategico anche dal punto di vista viario. In conseguenza di ciò, ecco che l’azienda apre uno dei suoi punti vendita più grandi dando occupazione a giovani lavoratori, tutti rigorosamente del comprensorio.
I grandi centri commerciali tendono a far “morire” le piccole realtà locali. A suo modo di vedere vi è un complessivo aumento o un decremento della forza lavorativa necessaria?
Assolutamente un incremento. La sua è una domanda che ormai mi sento rivolgere da ben 17 anni, da quando cioè sono entrato a far parte di questo magico mondo. Sono sempre stato contrario nei confronti di chi sostiene che i grossi centri facciano chiudere i piccoli e, ancora, con chi asserisce che piuttosto che ricchezza inducano povertà di posti di lavoro. Il motivo è davvero semplice. Io sostengo che il commercio al dettaglio, in particolare mi riferisco a quello dei nostri paesini, vive oramai una fase di stagnazione in quanto restio ad una vera e propria evoluzione. Mi spiego meglio: se la frequentazione media di un ipermercato è, stando alle statistiche, quindicinale, dubito che una famiglia che frequenta in maniera assidua l’ipermercato possa provvedere interamente ai propri bisogni durante le due visite mensili; i prodotti freschi, per esempio, proprio per essere tali, vanno acquistati quasi quotidianamente. E non nell’ipermercato. Concludo: il piccolo commerciante deve specializzarsi in negozi di piccole superfici, in centro città, con assortimenti limitati nei bisogni ma dettagliati nella varietà: vendo solo prosciutto, ma di questo ne ho ben 10 tipi! Un commercio al dettaglio dunque complementare e non concorrente con la grande distribuzione. E soprattutto che produca utili dalla sua capacità di fare commercio e non dai tagli che quotidianamente vuole apportare alla spesa per sostenere la propria piccola impresa. Quindi: commercianti, all’arrembaggio!

Cerchiamo di capire un po’ più chi è l’uomo Mario Grasso, come nasce l’avventura di Mario Grasso con una delle società più importanti nel comprensorio di Etnapolis?
Ho sempre creduto nei colpi di fulmine! Io e Castorama ci siamo incontrati alcuni anni fa e subito ci siamo innamorati. L’azienda voleva un direttore del luogo e ha creduto di trovare in me la persona giusta. E io gliene sono grato.

L’esperienza Castorama come lo ha arricchito professionalmente e personalmente?
E’ un continuo “Do ut des”; La mia età professionale e l’età di castorama in Italia sono esattamente uguali. Siamo coetanei. Io apporto quotidianamente un qualcosa dalla mia precedente esperienza Rinascente-Auchan e Castorama fa il resto arricchendomi ed ammaliandomi con il magico mondo del fai-da-te.

Castorama a Etnapolis è anche una sua scommessa personale da siciliano di questo territorio; è una scommessa vinta o ci sono stati problemi?
Una scommessa commerciale non è mai vinta. Chi ha la presunzione di vincere in mondo dove l’unica regola è che non ci sono regole, come quello del commercio, è meglio che cambi mestiere. Di sicuro sono molto soddisfatto, ma c’è tanto lavoro da fare e la strada è tutta in salita; fortunatamente il motore, che è la mia squadra, è ottimo.
E vorrei poi segnalare il nostro sponsor d’eccezione: la nostra sala riunioni l’abbiamo dedicata alla “Madonna della Roccia - Belpasso”. Ne conosce uno migliore?

Se qualcuno volesse intraprendere un rapporto lavorativo con voi, cosa dovrebbe fare?
WWW.Castorama.it, al link “lavora con noi”.

A cura di Francesco Liotta e Giosuè Gullotta

martedì 12 giugno 2007

Maria Di Franco "L'Ospedale: un bene prezioso per TUTTI" di Francesco Liotta e Giosuè Gullotta


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La dott.ssa Maria di Franco, guida il Presidio Ospedaliero di Biancavilla, in qualità di Direttore Sanitario dal novembre del 2000.
Fino a tale data, per due anni, è stata Direttore Sanitario dell’Ospedale di Militello Val di Catania.
Specialista in Igiene e Medicina Preventiva, nella duplice componente, sia Sanità Pubblica per quanto riguarda il territorio, sia per Direzione e Tecnica Ospedaliera.La propria carriera professionale è, comunque maturata presso la ex U.S.L. 38 di Giarre, comprendente la parte Ionica della provincia, occupandosi di Igiene Pubblica in qualità di Ufficiale Sanitario, a Riposto e Giarre.

Come è strutturato oggi il Presidio Ospedaliero (qualche dato statistico)?
L’Ospedale di Biancavilla ha tutte le specialità di Base, ed in tutte queste abbiamo un Primario che gestisce il “reparto”, tranne per l’Otorinolarigoiatria (ORL) che è una sessione aggregata alla Chirurgia generale, cioè vi è un responsabile che asserisce, come struttura completa, a questa specialità.
Inoltre, a supporto delle Unità di Diagnosi e Cura, abbiamo i servizi, primo tra tutti il Pronto Soccorso, che effettua moltissime prestazioni, circa 28.000 prestazioni all’anno, anche se devo sottolineare che, a volte, il cittadino utilizza tale servizio in maniera non molto appropriata, chiedendo prestazioni che potrebbero essere benissimo essere affrontate sul territorio o al livello ambulatoriale.

La ristrutturazione che l’Ospedale sta subendo è soltanto a livello edilizio oppure coinvolgerà anche l’assetto organizzativo?
Il nostro Ospedale, come tutti sappiamo, è dislocato su diversi plessi: il vecchio di Via Marconi dove è dislocato il reparto di Ortopedia e quello di Radiologia, il nuovo, sulla Circumvallazione, dove vi sono allocati gli altri reparti più gli uffici direzionali e il Centro di Riabilitazione, infine abbiamo un padiglione, situato sempre nell’area ospedaliera, per molti anni in disuso e in stato d’abbandono ed è proprio da quest’ultimo sono partiti i lavori di ristrutturazione.
Al completamento dei suddetti lavori l’Ospedale, nel senso di accoglienza del paziente, sarà costituito dal Plesso della Circumvallazione, che diventerà il polo chirurgico (Pronto Soccorso, Radiologia e tutte le branchie chirurgiche), e dal plesso rigenerato che sarà il polo medico, mentre in via Marconi, anch’esso opportunamente ristrutturato trasferiremo la farmacia ospedaliera e tutte quelle attività del territorio che adesso sono sparpagliate, quali il Consultorio, la Guardia Medica, Servizio di Vaccinazioni, cioè tutte le attività distrettuali attualmente in locali provvisori.
I due Plessi “Chirurgico” e “Medico” saranno collegati da un tunnel che semplificherà moltissimo le comunicazioni e i trasferimenti.
I tempi previsti per la consegna dei lavori sono circa 30 mesi, dall’apertura dei cantieri avvenuta a fine febbraio di quest’anno, ma è nostro intento cercare di fare pesare il meno possibile eventuali disagi ai nostri pazienti, cercando di evitare interruzioni di servizi, e spostando le varie reparti da un plesso ad un altro nel periodo di ristrutturazioni.

Ma allora non sono previste modifiche organizzative relativamente al numero di posti letto o incremento di reparti?
La ristrutturazione adegua l’Ospedale a quanto previsto nell’Atto Aziendale, questo non è altro che il risultato di un iter molto lungo, infatti nel 2003 vi è stato, a livello regionale, una rimodulazione dei posti letto, oltre quella che già nel 1997 aveva portato alla chiusura di 7 ospedali tra i quali quello di Adrano, e ad ogni Ospedale è stato assegnato un numero di posti letto, e su questo numero abbiamo messo dentro le unità operative (Biancavilla ha 102 posti per acuti + 16 di riabilitazione + 16 per lungo degenza).
Relativamente ai posti letto di riabilitazione, per mancanza di spazi non abbiamo potuto attivarli, ma da qualche anno abbiamo, per le patologie che lo richiedono, tre posti letto in Day Hospital.

Se dovessimo estrapolare i punti di forza o di debolezza del “nostro” Ospedale, come sintetizzeremmo?
Partendo dal presupposto che io e tutti i Primari dobbiamo dare le miglior prestazioni possibili al minor costo, la dislocazione dei plessi crea non pochi problemi nell’allocazione delle risorse; un caso emblematico per esempio, riguarda la maggior parte del servizio di radiologia e l’ortopedia con il laboratorio d’analisi, reparti con molti punti comuni, situati in due palazzi diversi, immaginate il personale ed i pazienti che devono spostarsi ripetutamente da un punto ad un altro e, quando il paziente non è autosufficiente, questi deve essere accompagnato dall’autoambulanza, è evidente lo spreco di tempo e soldi.
Relativamente agli aspetti positivi, mi piace, invece, ricordare l’attivazione, da maggio 2006, del servizio T.A.C. presso il reparto di radiologia, che oltre quella tradizionale, effettua anche servizio di Ecografia, Mammografia, ed inoltre effettua la Risonanza Magnetica Articolare, cioè un esame localizzato dal gomito in giù e dal ginocchio in giù, e mi preme evidenziare che il nostro è l’unico Ospedale nell’ambito dell’ASL 3 ad erogare tale servizio
L’istituzione di questa “macchina” ha permesso al paziente di non recarsi a Catania ogni qualvolta necessita di questi controlli, e mettendoci nei panni di una persona che soffre, non mi sembra cosa di poco conto.
Inoltre, il nostro centro di Riabilitazione, non essendo presente ad Adrano una struttura simile, svolge un servizio territoriale, come struttura pubblica, per i trattamenti riabilitativi.
Relativamente al nostro reparto di Ostetricia e Pediatria, abbiamo un grande afflusso con circa 550 nati all’anno, registrando un evidente trend positivo.

Dal Corriere della Sera.it abbiamo conosciuto l’esistenza di uno “sportello Cancro”, in cosa consiste?
Qualche tempo fa, nell’ambito di un proprio studio, la testata ci ha contattati chiedendoci informazioni sul tema. Successivamente siamo stati inseriti nel sito come “sportello Cancro”, naturalmente il nostro presidio Ospedaliero opera su alcune tipologie tumorali il cui intervento può avvenire tramite Chirurgia classica. Fatto è che, anche questo può aiutare a dare informazioni sul nostro operato alla comunità.
Non dimentichiamo che sul nostro sito è inserita la Carta dei Servizi, in cui sono elencati tutta le nostre operatività e le modalità per contattarci.

Sulla Sicilia on Line, dei qualche giorno fa abbiamo letto “Per la sanità, la Sicilia spende circa sette miliardi e mezzo di euro, cioè il 54 per cento dell'intera spesa regionale, e pertanto a ciascun siciliano, neonati compresi, l'assistenza sanitaria costa 1.514 euro all'anno". Per una famiglia normale di quattro persone si impegnano dunque oltre seimila euro.
La sanità, che costa tanto, e il numero troppo elevato dei dipendenti regionali sono i due punti critici che emergono dal rendiconto finanziario della Regione siciliana per l'esercizio finanziario del 2006, nello stesso articolo si intravede la necessità di eventuali tagli alla Sanità, quali possono essere le ripercussioni sul “nostro” Ospedale?
Intanto è la Legge Finanziaria nazionale che prevede un taglio del 3 % dei costi di beni e servizi, rispetto al 2005, e per quanto riguarda la Sicilia è notorio che il nostro Assessore Regionale alla Sanità ha presentato un piano di rientro, così come richiesto dal Governo nazionale, per evitare l’esclusione dai finanziamenti in erogazione.
A quanto mi è dato sapere è in fase di progettazione una rimodulazione dell’organizzazione Ospedaliera, con una riduzione di posti letto anche nell’ambito della provincia, di conseguenza anche noi potremmo essere coinvolti, ma per il momento non abbiamo notizie certe.

Spesso il malato lamenta un servizio non all’altezza e tende a “fuggire” verso altri lidi, sia in strutture vicine che oltre stretto. Come spiega questo fenomeno e cosa fa la Direzione per “assicurare “ i pazienti?
Per quanto riguarda la nostra struttura, posso dire analizzando i dati, che la gente del luogo (Adrano, Biancavilla e S. Maria di Licodia) sceglie il nostro Ospedale.
Infatti, anche se i ricoveri come numero sono diminuiti, non si deve fraintendere il giusto significato, questo, infatti, fa parte dell’obiettivo che qualche anno fa ci siamo prefissi, in linea con le direttive aziendali, di diminuire il numero dei cosiddetti “ricoveri inappropriati” (quelle patologie che possono essere curate sul territorio).
L’imperativo era, trasformare in Day Hospital o trasferire sul territorio le suddette patologie,.
Inoltre qualche anno fa, sull’annuario statistico presentato dalla Direzione aziendale, è emerso che, su 100 ricoveri, 60 avvenivano sull’Ospedale di Biancavilla.
Quindi un buon risultato, considerando che il confort alberghiero che il nostro Ospedale, può offrire è dignitoso (ma oggi possiamo dire ancora per poco) ma inferiore rispetto ad altre strutture.
Anche valutando i dati dell’anno scorso, la percentuale dei ricoveri programmati, e quindi scelti dal paziente, si attesta sul 59% di quelli totali.

Purtroppo a lamentarsi è spesso anche il personale medico e paramedico perché – dicono – non sono in condizioni di operare al meglio.
La dislocazione nei vari plessi, comporta un naturale “scollegamento”, immaginate due Ospedali entro i quali dovesse esserci il doppio del personale, e ciò naturalmente è improponibile, ma questo dovrebbe essere un problema risolto alla fine della ristrutturazione.
Effettivamente, a questo si aggiunge una carenza strutturale di personale paramedico, pertanto l’organizzazione prevede delle figure, come quella del “portantino” che in alcuni reparti o servizi come quello del Pronto Soccorso è sempre presente, mentre in altri, dove non vi è la connotazione dell’emergenza non è presente nelle ore notturne, ma questo non vuol dire nulla, perché in caso di necessità, vedi sala parto, il personale stesso è in regime di reperibilità.
Ma è chiaro che, sia per il blocco delle assunzioni, sia per i pensionamenti, sia i vari turn over, la carenza di personale nella struttura, come in altri Ospedali, è evidente, ma cerchiamo con una organizzazione appropriata di sopperire alle criticità.
E’ comunque evidente che, relativamente ai servizi di emergenza, le figure professionali richieste sono sempre presenti.

Come è cambiata la figura del Direttore sanitario dei un Presidio Ospedaliero rispetto al passato?
Mentre nel passato, la figura del Direttore Sanitario, nonostante fosse prevista per tutti gli Ospedali, era solo regolarmente ricoperta nelle grosse strutture mentre nei piccoli centri esisteva un “referente”, molto spesso un Primario di Reparto (un Clinico) che, per propria formazione non era un gestionale (anche se oggi anche per i clinici le cose sono cambiate in quanto viene richiesto anche a queste figure professionali una capacità organizzativa e “contabile”), adesso tutti i Presìdi hanno un proprio Direttore, con una specifica preparazione Igienico-organizzativa, avente una necessaria visione d’insieme della struttura e con una conseguente capacità di incidenza più efficace.
Diciamo che, comunque, in generale, è la filosofia della gestione sanitaria che è cambiata; oggi, infatti, ci si deve proiettare di più sull’integrazione Territorio/Ospedale, per tutte quelle patologie, definite di livello primario dovrebbero essere “assicurate” fuori dall’Ospedale, mentre per chi necessita di cure un tantino più importanti dovrebbero essere destinate all’Ospedale, considerando che i cosiddetti Ospedali di comunità adempiono alla “media assistenza” ed infine per quei casi molto specialistici e particolarmente “problematici” esistono altre strutture che assolvono a questi compiti.

Perché utilizza il condizionale?
Perché ancora siamo agli inizi della strada, e l’attenzione del paziente, che deve essere accompagnato in questo percorso Territorio/Ospedale/Territorio necessita ancora di monitoraggi e verifiche.

Fino a che punto la Direzione sanitaria dell’Ospedale può essere incisiva sul “buon andamento” della struttura, che tipo di controllo può effettuare e cosa va oltre la propria competenza .…. tutto questo in funzione della percezione del cittadino/utente.
Penso che uno strumento indispensabile sia “la capacità all’ascolto”, visto che uno dei compiti sia quello dell’equa gestione delle risorse umane, è importante relazionarsi con tutto il personale, facendo comprendere al proprio interlocutore che il suo problema non è sottovalutato.
Relativamente al contatto con il cittadino, abbiamo un Ufficio relazioni con il Pubblico (URP), la cui responsabile, che opera in maniera egregia nella propria quotidianità, risponde funzionalmente alla Direzione Sanitaria, per cui coinvolge, nei casi di particolare importanza la stessa Direzione, ed ai reclami cerchiamo di dare sempre un seguito.
Purtroppo, alcuni problemi, esulano dalla nostra competenza o possibilità, come per esempio il comfort alberghiero (anche se in tal senso stiamo ovviando ed i risultati cominciano a vedersi) ma generalmente è mio modus operandi, spesso, intervenire personalmente sulla risoluzione dei problemi, anche nei rapporti con l’utenza.

Ci piacerebbe concludere questa chiacchierata con un “messaggio promozionale” del Direttore verso l’utenza.
Ritengo che l’Ospedale sia di tutti, e mi piacerebbe molto che ci fosse più rispetto per questa struttura, infatti, se TUTTI, soprattutto gli utenti stessi, rispettassero minime regole di comportamento, o evitassero di ritenere questo luogo un Luna Park per il divertimento dei bambini, ma che lo considerassero, come è giusto che sia, un luogo di cura e quindi di attenzione per le persone che soffrono, le cose sicuramente andrebbero meglio; sarei felice che ciò fosse assodato, senza il bisogno di paletti che evitino “parcheggi barbari” o di “divieti” scritti affissi alle bacheche in corridoio.
Purtroppo a volte non è così, e mi dispiace dover registrare periodici furti all’interno dell’Ospedale o ripetuti atti vandalici nei confronti di esso, ciò evidenzia, da parte di qualcuno, mancanza di rispetto e cultura nei confronti del proprio “prossimo”.
Inoltre, mi sento di ribadire che, se per quest’anno avremo disagi in alcune unità operative rispetto al personale e ulteriori possibili criticità, a causa dei lavori di ristrutturazione, il nostro impegno, adottando un’accurata organizzazione, sarà quello di mantenere adeguata la qualità delle prestazione effettuate.

Nel ringraziare la dott.sa Di Franco per aver affrontato le varie tematiche con esaustiva attenzione e con completa disponibilità, ci piace riprendere quest’ultimo concetto “L’Ospedale è un bene prezioso di Tutti, ed il suo funzionamento, ognuno per la propria parte, dipende da Tutti".


A cura di Francesco Liotta e Giosuè Gullotta

sabato 12 maggio 2007

Rosario Di Guardia: Comunicare la salute, il Distretto Sanitario - di Francesco Liotta e Giosuè Gullotta

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Abbiamo avuto il piacere di incontrare il dott. Di Guardia direttore del Distretto Sanitario di Adrano, il quale ci ha illustrato una struttura che molti sconoscono ma che invece influenza moltissimo la nostra vita di cittadini e, purtroppo a volte, di pazienti. Questo incontro ci dà la possibilità di entrare nel mondo della sanità, complesso ma, per alcuni aspetti, molto affascinante.

Come è strutturata la sanità nel nostro territorio?
L’ASL 3 Catania è la struttura amministrativo-sanitaria che coordina tutta la provincia, il cui territorio è suddiviso in 11 zone, di cui una ricadente su Adrano e comprendente i comuni di Biancavilla e S. Maria di Licodia.
In questo territorio insistono tre strutture, l’Ospedale, il Dipartimento di Prevenzione e il Distretto Sanitario.
L’Ospedale evoca la sua funzione già nel conosciuto collettivo, con il ricovero e cura, all’interno della struttura stessa, dove si opera la cosiddetta assistenza di terzo livello (gli interventi più gravi), mentre fuori da esso, i bisogni di tipo sanitario dipendono dalle altre modalità organizzative.
Il Dipartimento di prevenzione, non è altro ciò che una volta era l’Ufficio Sanitario, cioè la struttura che si occupava di Igiene dell’ambiente, del suolo dell’acqua, dell’aria ecc, con l’aggiunta di competenze di prevenzione sulla persona come la vaccinazione, e come le campagne di prevenzione.
La terza modalità riguarda il Distretto Sanitario, che è la più nuova delle strutture organizzative sanitarie, pertanto ancora in via di sperimentazione, e quindi in via di definizione.
Ciascuna di queste tre modalità ha un proprio responsabile con una certa autonomia tecnico-operativa, agisce rispettando il budget assegnato ed ha una lista di “prodotti” sanitari da vendere, cioè dei servizi da erogare alla propria utenza, tecnicamente definiti Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
Relativamente al Distretto, con tale termine non bisogna immaginare soltanto un concetto di tipo territoriale, ma bisogna realizzarlo in termini organizzativi.
Il Legislatore ha voluto indicare, con il termine “Distretto Sanitario” una della tre modalità organizzative mediante la quale il servizio sanitario nazionale eroga servizi alla collettività.
Ma quale è il compito specifico del distretto?
Il compito del distretto è, come dicevo, quello di erogare tutti i servizi sanitari che sono fuori dall’Ospedale, tenendo conto che, nell’universo sanitario, il centro è il paziente, pertanto tutti i servizi devono ruotare intorno a lui.
Facciamo un esempio pratico, se un paziente viene ricoverato per un fatto acuto, il ricovero in ospedale durerà qualche giorno (fino a qualche anno fa, la degenza sarebbe stata molto più lunga) successivamente la cura o la riabilitazione dovrà proseguire all’esterno e qui entra in gioco il Distretto, il quale organizza la continuità assistenziale del paziente.
L’equipe territoriale del Distretto (formata da medici specialisti e tecnici di riabilitazione) che svolge una valutazione multidimensionale, dopo aver sentito i colleghi dell’Ospedale, decide su quale dovrà essere l’iter di cura che il paziente dovrà sostenere, con un ricovero alternativo all’Ospedale, presso una Residenza Sanitaria Assistita (RSA), oppure una degenza presso un Centro di Riabilitazione, strutture convenzionate con il SSN, dove il paziente potrà continuare la sua cura con tutta l’assistenza del caso, con un’attenzione maggiore alla persona e quindi al ruolo infermieristico piuttosto che, anche se non escluso, a quello prettamente medico.
L’equipe, inoltre potrebbe optare per un rientro del paziente al proprio domicilio, in quel caso il Distretto, valutata la necessità, attiva la cosiddetta Assistenza Domiciliare Integrata, dove il titolare di tutta la gestione del paziente stesso torna sul medico di medicina generale alias il medico di famiglia che, insieme ai colleghi del Distretto, formula il piano di Assistenza, sia dal punto organizzativo che infermieristico, pianificando sia la tipologia d’intervento che i suoi tempi.
Nelle scelte valutative, naturalmente, entrano in gioco anche parametri come il tessuto familiare, in grado di apportare assistenza continuativa al proprio congiunto.
Per tali operatività il Distretto ha un proprio budget di spesa, assegnato dalla Direzione dell’ASL di Catania, ma devo dire che fino ad oggi siamo stati in grado di poter concedere il massimo dell’assistenza a tutti i pazienti che hanno avuto necessità del servizio.
Quindi anche il medico di famiglia coopera, a stretto contatto, con il Distretto?
I medici di famiglia, che sono liberi professionisti, operano una funzione specifica diretta ad integrare, con una particolare assistenza, Ospedale e Territorio, ricevendo dal Distretto tutti i servizi, a volte anche come una sorta di segreteria, che rende più facile la loro attività.
Ad esempio l’equipe multidimensionale, di cui abbiamo già parlato, coordina insieme al medico di famiglia, la migliore assistenza per il proprio paziente, con la possibilità di una diagnosi, e successiva cura, sicuramente più complessa e adeguata.
Quali sono, in concreto, i servizi del Distretto
Il Distretto soddisfa quei bisogni sanitari più semplici, cioè le cure di tipo primario e secondario, delegando quelli più importanti, o cure di livello terziario, all’Ospedale.
Il Distretto utilizza ed organizza la rete dei servizi e dei professionisti che operano nel territorio soddisfa tali bisogni, partendo dal medico di famiglia che è il punto più sensibile nel territorio passando attraverso gli Specialisti Convenzionati Esterni, che pur essendo liberi professionisti, hanno contatti sempre più intensi con il Distretto, e che vengono sempre più reclutati per specifici progetti.
Nell’area della assistenza multispecialistica, abbiamo l’Ambulatorio Specialistico Distrettuale (quello che una volta era chiamato INAM), dove operano specialisti di branche differenti (per esempio angiologo, neurologo, oculista ecc.), che riescono a coprire in maniera abbastanza soddisfacente, sia per tipologia medica che per numero di ore, le esigenze della nostra comunità, anche perché alcune specializzazioni non esistono a livello di Ospedale, vedi l’Oculista. Tali medici sono tutti professionisti convenzionati che operano nella struttura pubblica situata nell’ex presidio Ospedaliero di Adrano.
Poi all’esterno, sempre convenzionati abbiamo altri professionisti, come un cardiologo, un dermatologo, una ginecologa.
Inoltre vi sono i laboratori di analisi cliniche: 8 ad Adrano, 4 a Biancavilla e 1 a S. Maria di Licodia, per gli esami diagnostici.
Inoltre abbiamo un grosso ambulatorio di fisio-chinesi-terapia ad Adrano per la riabilitazione neuro-motoria.
Abbiamo anche 2 Consultori Familiari (1 ad Adrano e 1 a Biancavilla, S. Maria di Licodia viene servita dall’equipe di Biancavilla per due volte la settimana), rivolta ai bisogni della donna, del bambino e della famiglia in generale.
Per la fascia di età anziana esiste un servizio di assistenza domiciliare integrata, che provvede o con assistenza domiciliare o in RSA (Residenza Sanitaria Locale), dove si effettua un’assistenza non prevalentemente medica, ma soprattutto infermieristica, questa tipologia di cura è svolta nelle situazioni di non autosufficienza e soprattutto in caso di un’assenza di struttura familiare.
Poi vi è l’area di salute mentale, soddisfatta dall’equipe del Servizio Territoriale di Salute Mentale, collocato ad Adrano e costituita da medici, psichiatri, psicologi, assistenti sociali, psico-pedagogisti, logopedisti ed infermieri, anch’essi operano assistenza, ambulatorialmente, verso pazienti che molto spesso vengono indirizzati dal medico di famiglia.
Non dobbiamo dimenticare il SERT (Servizio per la Tossicodipendenza) che, oltre lavoro ambulatoriale e di ricovero (presso la struttura Sentiero Speranza), opera in collaborazione con le scuole conducendo campagne di informazione per i rischi da assunzione di Alcool (molto sottovalutato nella nostra zona) e droga.
Ma cosa fa, allora un Direttore di Distretto?
La “cruda” legge definisce il Direttore “il garante del complesso delle attività sanitarie ed amministrative connesse al percorso terapeutico del paziente”, in quanto responsabile della realizzazione degli indirizzi strategici, nell’ambito territoriale di competenza, dell’ASL; inoltre responsabile della rete di servizi distrettuali, coordinatore e responsabile della concertazione con gli altri enti territoriali, ecc. ecc.
Ma se, in parole semplici, consideriamo il Distretto un contenitore entro cui trovano espressione tutti i servizi che vengono esplicati furori dall’Ospedale, il compito del Direttore, consiste, insieme al proprio Ufficio di coordinamento, nel far sì che tutti questi servizi siano organizzati in maniera ordinata e concordata, nei limiti delle risorse concesse, sempre al fine di soddisfare il paziente nel suo iter curativo.

Come si accede a questi servizi, il punto di partenza è sempre il medico di famiglia?
Il modello sanitario attuale prevede che il Paziente sia il centro di tutti i servizi prestati, questo va in controtendenza rispetto al passato dove la persona cercava il ricovero in ospedale, per raggiungere tutta una serie di prestazioni.
La visione, invece della struttura ospedaliera attualmente va nella direzione di un utilizzo razionalizzato per le suddette cure terziarie (quelle più gravi), mentre il cittadino, per le proprie esigenze sanitarie di routine, non deve spostarsi idealmente alla ricerca della soddisfazione del proprio bisogno, ma è il Distretto che deve assicurare una costellazione di servizi che vanno verso il paziente.
In genere il motore che attiva la costellazione dei servizi stessi è il medico di famiglia, il quale è, normalmente colui che indirizza il proprio assistito nella direzione giusta.
Dopo di che saranno i servizi ad attivarsi nei confronti del paziente, o ad interagire tra loro per la definizione e soluzione del problema.
Come abbiamo detto all’inizio della nostra chiacchierata, il sistema Distretto è ancora in via di sperimentazione e quindi in continua evoluzione; il modello, comunque a cui aspiriamo, è quello in cui il paziente, accederà in uno qualsiasi degli sportelli e sarà compito di quello sportello a provvedere al prosieguo del da farsi, anche della semplice prenotazione per una visita successiva.
Visto che la metodologia del Distretto implica, in maniera ancora più incisiva rispetto al passato, forme di collaborazione tra le varie strutture che Lei ha ricordato ……i rapporti tra esse, sul piano pratico, come possono essere giudicati.
Le relazioni tra tutte le articolazioni, possiamo definirle buone e, posso dire senza ombra di dubbio, che sono in continuo miglioramento.
Il fatto che queste siano regolamentate da Istituti contrattuali differenti (alcuni di Istituto privato, altri di Istituto pubblico, altri ancora convenzionati), ha reso il processo di integrazione più lento.
Questo, infatti, immancabilmente si è riversato e, ancora si riversa, sui differenti obblighi e doveri che si hanno nei confronti dell’attività espletata, immaginiamo i medici dipendenti del Distretto e gli Specialisti convenzionati esterni, ma devo dire che ci si sta orientando sempre più in forme di collaborazione e rispetto reciproco dei protocolli attivati.
Se un cittadino volesse avere di chiarimenti, senza l’intervento del proprio medico di famiglia, chi deve si rivolgere?
Non esiste un vero e proprio Ufficio Informazioni, è attivo un Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP) che svolge anche questa attività di consulenza nei confronti dei pazienti, ma che prevalentemente ha la funzione di raccogliere reclami, disfunzioni, per poterci consentire di migliorare i nostri servizi.
Nell’ambito della propria funzione, l’URP, ove necessario, è chiamato a dare delle indicazioni orientative di massima al paziente.
A proposito di relazione con il pubblico, quale è la percezione che il cittadino ha dei servizi erogati dal Distretto, esistono forme di “controllo” da parte vostra in tal senso?
Il monitoraggio del Custmer satisfation (lett. soddisfazione del cliente) viene effettuata annualmente in particolari periodi dell’anno, prima di tutto perché siamo obbligati dall’Azienda ma anche, e non è da sottovalutare, perché per noi è uno strumento utilissimo per verificare se la strada intrapresa è quella giusta.
Infatti, somministriamo un questionario con domande semplici in maniera da ricevere dall’utente segnali circa l’idoneità dei locali, la pulizia, la puntualità nell’espletamento dei servizi.
Il livello su cui ci attestiamo, posso dire che è medio-buono e, per quanto riguarda la professionalità dei nostri professionisti e dei dipendenti e di tutti gli operatori, ne viene fuori un livello più che soddisfacente.

Ringraziamo ancora il dott. Di Guardia per la disponibilità concessaci, e condividiamo con Lui la speranza che i servizi erogati dalla “nostra” sanità locale possano raggiungere quei livelli ottimali e di eccellenza, che i cittadini del nostro comprensorio, decisamente, meritano .


A cura di Francesco Liotta e Giosuè Gullotta

giovedì 12 aprile 2007

Padre Luigi Ferlauto "Ognuno è qualcuno da Amare" Oasi di Troina - di Francesco Liotta e Giosuè Gullotta

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Pensavamo che il sogno fosse qualcosa di immaginario e irreale. Incontrando Padre Ferlauto e visitando l’Oasi della Maria Santissima ci siamo resi conto che il sogno si trasforma in realtà se supportato da intelligenza, caparbietà e……. specialmente Fede.
Da casa d'accoglienza per minorati e disabili a Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS). Ma il nome non è cambiato: Oasi di Troina, provincia di Enna, a 1.120 metri di quota e 70 km dal mare. La Casa è stata voluta nei primi anni Cinquanta da don Luigi Ferlauto per dare un ricovero e assistenza agli emarginati della società.
Chi è Padre Luigi Ferlauto?
Non è facile spiegare chi è Padre Ferlauto. Dovreste leggere il libro “Sono un prete che crede in Dio” in cui diventa chiaro che l’Opera altro non è che un atto di Fede e ne evidenzia il percorso spirituale. Nel libro “Il miracolo in Sicilia” si racconta come è stata possibile la realizzazione concreta di questo progetto. Nei due libri viene sottolineato che Dio non è un rifugio, ma un “socio” che vuole collaborare con noi in quello che è il progetto della nostra vita. Del progetto, noi siamo responsabili su questa terra: non siamo per caso su questa terra, se ci siamo è perché qualcuno lo ha voluto. Questo qualcuno non sono i nostri genitori, ma colui che ha programmato l’umanità. Se comprendiamo il ruolo a noi assegnato, avremo certamente le potenzialità per realizzarlo. Tutto ciò presuppone un rapporto con Dio, un rapporto societario con qualcuno in grado di guidarci. Così, da giovane prete di campagna, ho pensato che potevo essere il socio di minoranza in una società in cui veniva affidato il 51% a Dio, socio di maggioranza. L’operazione credo abbia funzionato: oggi diamo lavoro a circa 1000 persone. Il progetto potrebbe essere esportato in ognuno di noi e nella vita individuale di ogni uomo che decida di prendere Dio come socio di maggioranza per condividere con Lui il percorso stabilito per ciascuno di noi.
Come nasce “l’avventura” dell’OASI, quale è stata la scintilla?
Il mio desiderio era quello di creare un ricovero per minorati (allora così definiti). Il fatto singolare è che, quando decisi di fare quest’opera, non volevo che essa portasse il mio nome, ma non volevo neanche fosse un’Opera Pia, viste le prefetture così incombenti che non davano respiro, e non volevo neanche che fosse curiale al fine di evitare qualsiasi intoppo. Mi fu suggerito di formare una S.r.l. (Società a Responsabilità Limitata). Leggendo la bozza dello statuto, mi resi conto che riguardava prettamente una struttura commerciale, mentre io volevo fare un qualcosa al servizio dell’uomo. Cominciai a modificare lo statuto inserendo alcuni concetti chiave nei primissimi articoli: a) che l’Opera non avesse scopo di lucro; b) che i ricavati fossero interamente impiegati per lo sviluppo dell’opera stessa; c) che le quote di partecipazione non potessero essere trasferibili; sicuramente stavo stravolgendo il generico principio della società commerciale. Con mia sorpresa, il Tribunale omologò lo Statuto che – di fatto – nel lontanissimo 1953, era un prototipo di ciò che successivamente sarebbe stata definita Fondazione.
Perché la denominazione “Oasi di Maria Santissima”?
Perché mi piacque l’idea dell’”oasi” al centro di una terra così povera come la Sicilia. La dedicai alla Madonna perché potesse proteggerla nel tempo.
Dall’idea alla realizzazione. Quali i primi passi?
Necessitavo di qualcuno con una certa esperienza nel settore. Sapevo di un anziano prete pugliese, di Bisceglie, che già da tempo operava nel campo dei minorati. Rivolgendomi a lui, capii che sarebbe stato contento di consegnare a me la continuazione della propria opera, ma ciò non era nei miei piani. Io volevo creare qualcosa nella mia terra. La delusione mi fu letta in faccia da un anziano prete cui illustrai il mio progetto. Lui, con una dolcezza disarmante, aprì il vecchio portamonete di velluto rosso e mi consegnò 3 soldi, e mi disse: “ Anche Don Bosco iniziò con tre soldi, quindi non si scoraggi”: questo fu per me un segnale forte cui dovevo aggrapparmi per cominciare.
Altro segno fondamentale fu quello accadutomi qualche tempo dopo: il caso volle che il 1 febbraio del 1952, mi trovassi a Roma, in visita ad un amico che trovai ammalato. L’indomani lui doveva partecipare ad un incontro con il Santo Padre, e naturalmente era impossibilitato, quindi invitò me a prendere il suo posto. Non sapevo cosa fare, ma certo non volevo “perdere l’occasione” e così decisi di scrivere una lettera che portai con me.
All’udienza, rompendo il protocollo ufficiale, tirai fuori la lettera contenente il mio progetto, e la consegnai “brevi manu” a Papa Pio XII. Dopo qualche tempo ricevetti una lettera che plaudiva l’iniziativa e allegava un assegno di ben 500.000 lire, un’enormità per allora, tanto che bastò per pagare la prima rata della casa dove sorge l’OASI.
A distanza di anni capii l’importanza dell’evento: Cristo era in opera e si stava adoperando per la realizzazione del “nostro” progetto.
Quali le tappe e quali i traguardi?
Da sempre ci siamo mossi per tappe, non nei tempi miei ma in quelli di Dio, ed i traguardi sono quasi stati tutti raggiunti. Volevamo essere un centro specifico di ricerca nell’area cognitiva per i disabili mentali; nel 1974 siamo diventati unica Istituzione Sperimentale nell’arco della Scuola Materna, Elementare e Media; nel 1978 ci hanno autorizzato ad aprire scuole di Formazione Professionale; nel 1988 siamo diventati IRCCS (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico), il più alto riconoscimento a livello nazionale per strutture del settore; nel 1997 siamo diventati “Centro di Collaborazione” con l’Organizzazione Mondiale della Sanità; dal 2000 siamo membri della Administration International of Medicine, praticamente un cammino sempre in crescita.
Momenti difficili?
Certo che momenti difficili ve ne sono stati; ho anche dovuto frequentare aule di tribunale in diverse occasioni, accusato di truffa, dossier redatti sulla mia persona e sull’Opera, attacchi vari. Ma da queste esperienze ne sono sempre uscito spiritualmente rafforzato.
Mi hanno anche dedicato un romanzo, non esplicitamente, ma con riferimenti così precisi da non lasciare dubbi sull’intenzione dell’autore, in cui venivamo descritti come centro di smistamento di armi pesanti; vi lascio immaginare che subbuglio ha creato anche a Roma.
Quante volte mi sono rivolto al mio Socio di maggioranza chiedendogli di starmi vicino!!
Abbiano notato che, nonostante l’opera respiri sempre più un’aria di internazionalità, il concetto di territorialità della sua Sicilia è sempre presente, ritiene che il territorio in cui si è sviluppata la struttura sia stato un punto di forza o un problema aggiuntivo?
Un punto di forza, perché mi ha consentito a lavorare in piena autonomia, impossibile nei grandi centri a contatto con le grandi strutture. Un paese come Troina, che non mi poteva offrire grandi opportunità, ha fatto sì che dovessi cercarmi dei “ponteggi” e creare dei punti di riferimento.
Però, quello che era inizialmente un handicap, a poco a poco mi ha dato lo stimolo ad essere autonomo e mi “ha costretto” a creare un Policlinico completo, dove il paziente potesse essere studiato nella sua globalità, senza costringere se stesso e i propri familiari ad essere sballottati da un Istituto ad un altro.
La medicina “ufficiale” come si pone nei confronti dell’OASI?
Un fatto curioso nella nostra terra siciliana è la mancanza di informazione da parte della Regione che, attraverso le Asl con i propri centri psico-pedagogici, dovrebbe far conoscere l’Opera. Invece, ci siamo trovati molti genitori che hanno affermato di essere stati in centri specializzati del Nord Italia, ma che gli stessi operatori li hanno informati di una struttura qualitativamente eccezionale in Sicilia e pertanto sottolineavano l’inutilità del loro “spostamento”.
Ma adesso pare che qualcosa si muova. Ho proposto alla stessa Regione di creare dei centri satellite, lasciando all’OASI il compito della Ricerca e della Diagnosi con lo studio del caso, della redazione del protocollo, ma spostando su questi siti periferici, ad esempio provinciali, la riabilitazione, favorendo in questo modo la conservazione dei risultati ottenuti, rendendo la vita al paziente molto più agevole.
Se poi questi satelliti venissero legati tra loro tramite delle postazioni informatiche, con la possibilità di scambio di informazioni in tempo reale, si creerebbe, a livello regionale, una rete molto importante, che nel momento in cui fosse testata, potrebbe essere impiegata anche per altri settori della medicina. Anche in questo caso, come potete vedere, siamo sempre in cammino per completare l’Opera.
Può spiegarci meglio il suo concetto di “città aperta”?
In Italia i tentativi di inserimento del disabile nel sociale hanno sempre riscontrato problematiche di difficile soluzione, basti pensare ai disabili nel mondo della scuola, ma anche agli Istituti che, “tradizionalmente” curano gli stessi per un periodo ben definito, delegando successivamente alla famiglia il ruolo di “accoglienza” e limitando i periodi di riabilitazione nelle strutture preposte. Per questo, molto spesso si perdono gli sviluppi fatti dalla persona disabile frenando la possibilità di “integrazione nel mondo esterno”.
Invece, la mia idea di partenza era quella di dimostrare che, se il disabile è messo al posto giusto e con la propria capacità, può creare un modo nuovo di integrazione. In questo spirito, per esempio, è nata una cooperativa (composta da disabili e normodotati) che si occupa del giardino dell’Oasi, rendendo queste persone, non pazienti ma protagonisti della loro vita.
Abbiamo voluto realizzare una “città aperta” dove il sano e l’abile convivano, dove la diversità scompaia, dove tutti camminino verso una stessa direzione, regni la condivisione, dove ognuno sia una persona da amare. Una struttura a misura d’uomo, senza barriere strutturali, ma soprattutto senza barriere psicologiche e sociali.
Tv satellitare, Casa Editrice, tipografia, Internet: che ruolo ha la comunicazione nella sua Opera?
Io credo molto nella comunicazione, infatti, credo che il futuro dell’Umanità si basi su un nuovo modello di vita, dove tutti, come dicevamo prima, possano vivere in una città, senza paura dell’altro, una “città aperta”. Questo presuppone un cambiamento della stessa visione della vita, per questo stiamo creando l’Università del “Cambiamento” diretta a preparare gli operatori che dovranno gestire il cambiamento e creare la comunicazione del “Positivo”, perché il mondo ha bisogno di messaggi positivi, e la televisione ha proprio il compito di diffondere tutto ciò.
Ma abbiamo anche la nostra casa editrice, un centro tipografico e, da poco, anche una rotativa che spero in futuro possa essere impiegata per un giornale quotidiano del Positivo, con il compito anch’esso di raccogliere e diffondere tutto il positivo che c’è nel mondo.
La Politica, strumento agro-dolce per raggiungere i risultati sperati, quale è la visione della “politica” per Padre Ferlauto?
L’OASI non fa politica, l’OASI è Politica; è un progetto sempre in avanzamento, ed essa parla attraverso le opere, evidenziando quale è il cammino che si deve intraprendere.
Naturalmente da parte di molti uomini politici ciò non è vissuto come fatto – per loro - positivo in quanto la struttura mantiene la propria massima autonomia, ma sono convinto che la libertà non ha prezzo e non bisogna mai scendere a compromessi.
Pertanto questo atteggiamento, se da una parte diventa la forza dell’OASI, da altri viene vissuto come un avversario; devo dire, però, che in questi ultimi tempi vi è stato un certo cambiamento, per esempio la proposta dei Centri Satellite è stata accolta dalla giunta di Governo (riunita per l’occasione a Troina) in maniera alquanto favorevole.
Forse si comincia a capire che l’OASI è una realtà “no profit”, ecclesiale, ed ha raggiunto livelli altissimi grazie alla propria gestione e seguendo il proprio Spirito. Nonostante non sia una struttura pubblica agisce come se lo fosse, perché lo Stato ha bisogno e pertanto si convenziona con noi e, se il rapporto si sviluppa in maniera concreta, la Regione Sicilia potrebbe avvantaggiarsene nella propria organizzazione sanitaria e l’OASI potrebbe essere un’esperienza, con un vissuto diverso rispetto alla generalità dei casi, dove con poco si può fare molto.
Da un’intervista al Corriere Salute si cita “Come è riuscito un prete di campagna a realizzare tanto? Non è stata la provvidenza — risponde chiaramente don Luigi, ma la generosità della gente siciliana, una generosità che non compare sulle colonne dei giornali”. Può spiegarci il senso di tale risposta?
La citazione non è molto esatta, in quanto è la Provvidenza che si serve degli uomini, ed è anche vero che sono gli uomini che hanno reso possibile il Progetto; infatti, fin da quando iniziai, il dirigente della ditta che aveva costruito la diga di Ancipa, anche se incredulo che potessi farcela in un territorio come quello di Troina, oltre che donarmi il materiale rimanente dal cantiere della diga, mi regalò 200.000 lire, che furono provvidenziali per costruire un altro tassello.
Non posso dimenticare l’aiuto dei miei collaboratori volontari e la gente che mi portava di tutto, dal cibo alle vettovaglie: era una comunità che si apriva, ma senza che io facessi mai una questua.
Da cinquanta anni fa ad oggi, lo sviluppo sociale e di presenza nel mondo della solidarietà, a 360’ gradi, è sotto gli occhi di tutti, ma dove vuole arrivare Padre Ferlauto? Cioè vi è ancora qualche progetto non ancora concretizzato, ma a cui il Padre desidera arrivare?
Un grande Policlinico al servizio dei disabili in ogni nazione, e soprattutto la “città aperta” in ogni continente perché possa crescere e germogliare il seme della Condivisione e possa essere profusa in tutte le case la cultura del Positivo: questo sarebbe il compimento dell’Opera, la chiusura del cerchio del grande nostro “Progetto Unitario” che Dio ha guidato passo passo, anche attraverso le difficoltà.
Sono convinto che le difficoltà, comunque, sono positive perché ti aiutano a capire quali sono le cose importanti oltre che ad evitare sbagli ancora più gravi. In fondo le difficoltà sono la Pedagogia di Dio, perché nulla avviene per caso e con esse impariamo a leggere gli eventi che ci accadono. Però non bisogna dimenticare mai che accettare Dio per socio significa avere la possibilità del suo potere nelle proprie mani “Se avrete fede in me farete le cose che Io compio e farete le cose più grandi”.
Semplicemente accenno alle opere già in cantiere attorno all’OASI: il Palazzo della Comunicazione, l’Università del Cambiamento e la Torre del Dialogo, una grande costruzione di 25 piani di 1000 m2 ciascuno rappresentante un Cristo Risorto che tiene nelle sue mani la Chiesa.

Un incontro affascinante, una persona davvero fuori dal comune che riesce a trasmetterTi entusiasmo e ….Fede. Grazie Padre Ferlauto, non solo per quello che ci ha raccontato, ma – specialmente – per quello che ci ha trasmesso e per quello che ha costruito per il nostro territorio. Se più uomini avessero la stessa intelligenza , caparbietà e ….Fede, probabilmente le sorti della nostra Sicilia sarebbero totalmente diverse.



A cura di Francesco Liotta e Giosuè Gullotta