giovedì 26 marzo 2009

Prof. Antonio Recca: L'Università di Catania e la Riforma Gelmini - di Roberto Coco

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Lo scorso 9 gennaio 2009 il decreto Gelmini è stato approvato dalle due Camere ed è diventato legge. Dopo le accese proteste legate a quest’intervento normativo abbiamo svolto una riflessione sull’attuale situazione e sul futuro dell’Università, in particolare dell’Ateneo catanese. Abbiamo, quindi, rivolto qualche domanda al prof. Antonino Recca, rettore dell’Università degli Studi di Catania.

Per la prima volta, dopo tanti anni, gli studenti e i professori si sono visti uniti con un unico obiettivo. Quali sono i motivi di tale unione?
L’annunciata riduzione del finanziamento pubblico a favore delle università italiane e conseguentemente della ricerca aveva destato, come peraltro continua a destare, una seria preoccupazione. Di qui, pur con forme e con toni differenti, le manifestazioni di protesta nelle università e la netta presa di posizione della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) contro l’annunciata riduzione delle risorse. Anche e soprattutto perché la carenza delle risorse era da tempo diventata cronica e purtroppo nessun governo era riuscito a rimediare.
Le posizioni assunte sono state diverse: alcune certamente estremiste e radicali; altre favorevoli all’apertura di un dialogo e di un confronto anche serrato con il Governo, nella consapevolezza che il particolare momento di crisi economica che anche il nostro Paese sta attraversando impone a ciascun settore uno sforzo, anche considerevole, di razionalizzazione, di gestione oculata delle risorse e di riduzione delle spese, ma senza far ricadere sugli studenti e sui lavoratori gli effetti di tali tagli.
I contestatori sostengono che la trasformazione degli Atenei in Fondazioni di diritto privato farà alzare la retta e che i finanziatori potrebbero condizionare la ricerca. Cosa ne pensa in merito?
La creazione di fondazioni universitarie non è un obbligo. E’ soltanto una possibilità. Ma da alcune componenti dello schieramento di protesta è stata individuata come uno dei punti da aggredire maggiormente. Il problema vero, lo ripeto, sta nella capacità delle istituzioni pubbliche di alta formazione, quali sono le università, di essere “virtuose” nella gestione dei fondi e di essere al tempo stesso competitivi nell’attrarre finanziamenti per la ricerca scientifica, sulla base di progetti riconosciuti validi, soprattutto sulla base dei risultati raggiunti, proficuamente spendibili nella società della conoscenza in termini di produttività e di sviluppo sociale ed economico.
Nonostante la ridotta disponibilità di risorse (e sono note a tutti le difficoltà che incontrano gli atenei dell’Italia meridionale e della Sicilia nel reperire finanziamenti privati), sottolineo, e lo faccio con soddisfazione ed a merito dell’impegno costantemente profuso dai docenti e da quanti hanno prestato, e continuano a prestare, la loro collaborazione, il buono stato di salute della ricerca scientifica dell’Università di Catania. Trova conferma nell’alto numero di progetti di ricerca cofinanziati dal Ministero perché riconosciuti di interesse scientifico nazionale (i cosiddetti PRIN): lo scorso anno sono stati ben 33 i PRIN che vedono come coordinatore nazionale un docente dell’Ateneo di Catania; 85 sono le unità di ricerca catanesi premiate con quote di finanziamento ministeriale.
In Italia spesso si rincorre il modello americano del privato. Secondo Lei, fino a che punto è realizzabile? E’ davvero così positivo?
La risposta a questa domanda è intrinsecamente legata alla risposta che si riferisce alla domanda precedente. Se all’espressione “privato” corrisponde, nell’accezione comune, quella di “efficiente”, allora siamo fermamente convinti che sono possibili e concretamente attuabili modelli di efficienza e di virtuosità anche nel settore pubblico. Non dobbiamo mai dimenticare che le università svolgono, in particolare nel Mezzogiorno del nostro Paese, una fondamentale funzione sociale, di promozione e di sviluppo, rivolta a decine di migliaia di giovani impegnati propria crescita culturale per un’occupazione lavorativa utile a sé stessi e proficua per tutto il Paese. Anche se, purtroppo, il lavoro stabile e a tempo indeterminato non è immediatamente conseguente ai tanti sacrifici affrontati durante gli anni della formazione, il carattere pubblico dell’istituzione universitaria risulta preponderante ed imprescindibile, ma a condizione che sappia garantire ai giovani una formazione adeguata, nel contempo, alle loro individuali aspirazioni occupazionali ed alle complessive necessità ed emergenze del Paese.
Il Ministro Gelmini ha annunciato che sarà destinata una quota significativa del finanziamento statale alle Università più meritevoli. Quali prospettive per l’Ateneo catanese?
I provvedimenti introdotti con il decreto legge “Gelmini” sull’Università, recentemente approvato in via definitiva alla Camera, assegnano più finanziamenti agli atenei con bilanci virtuosi, migliori in termini di offerta formativa, di qualità della ricerca e di efficienza delle sedi, secondo individuati parametri oggettivi di valutazione. Come più volte è stato evidenziato anche dagli organi di stampa nazionali, il rapporto tra la spesa per gli stipendi del personale e il Fondo di finanziamento ordinario – considerato indice di “virtuosità” gestionale ed amministrativa se non supera il limite prefissato – vede l’Università di Catania attestarsi al 73,29 per cento netto (che corrisponde all’86,5 per cento “assoluto”). Per comprendere meglio questo dato, si consideri che l’Ateneo di Catania è l’unico degli atenei siciliani che spende meno del 90 per cento “assoluto” del suo FFO in stipendi per il personale; circostanza, questa, che l’accomuna agli atenei di grandi dimensioni più virtuosi (tra i quali, Bologna, Padova, i Politecnici di Milano, di Torino e delle Marche).
In attesa di conoscere i nuovi parametri di valutazione individuati dal Civr (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca) e dal Cnvsu (Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario), non possiamo che essere soddisfatti dei risultati conseguiti e riconosciuti, assumendo l’impegno di proseguire nella nostra opera di miglioramento dei risultati, pur nella consapevolezza delle enormi difficoltà che caratterizzano l’attuale momento di crisi economica internazionale e sicuramente difficile per tutti.
Secondo Lei perché sembra che il Governo sia passato da una linea dura ad un atteggiamento di maggiore apertura?
La stampa ha svolto la sua parte, anche se non sempre è stata precisa nel rappresentare il nostro sistema universitario, che, pur se è vero che ha dei difetti anche notevoli, ha molti pregi e tanti livelli di eccellenza. La sensibilizzazione manifestata dall'opinione pubblica sulle esigenze delle università del nostro sistema universitario nel suo complesso, ha certamente avuto la sua parte. Ma hanno influito molto, secondo me, anche gli appelli e l'attenzione riservata alle esigenze del mondo accademico da parte del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ho incontrato personalmente insieme agli altri componenti della Giunta della Conferenza dei rettori, e le posizioni critiche ma propositive della stessa Crui e del Cun. Ciò ha consentito di introdurre alcuni correttivi nelle proposte iniziali del Governo, mentre un più ampio progetto di riforma organica del sistema universitario è stato rinviato ad un dialogo più serrato fra l'Esecutivo, il mondo politico e il mondo accademico, il cui primo passaggio è costituito proprio dalle "linee guida" consegnate dal Ministro Gelmini.
Certamente, resta sul tavolo il "nodo" dei tagli, sul quale, come rettori, ­intendiamo ancora andare avanti. Se le riduzioni di fondi previste dalla legge 133 non verranno sensibilmente modificate, molti atenei fra un paio d'anni non saranno in grado di pagare gli stipendi ai propri dipendenti, né avranno fondi per assicurare didattica e ricerca di alto livello. Per esempio, nel caso dell’Ateneo di Catania il fondo di finanziamento ordinario attuale è di 201 milioni di euro, di cui 172 per stipendi. Come faremo nel 2010 di fronte ad un taglio di circa il 10 per cento?
Se Lei avesse la possibilità di costruire una nuova Università, come vorrebbe che fosse?
Da oltre due anni ho l'onore, e l'onere, di guidare la più antica università della Sicilia: un grande ateneo con quasi settantamila studenti e circa cinquemila tra docenti e personale tecnico, amministrativo e sanitario. Insieme con loro ho quotidianamente lavorato per costruire in maniera concreta un’università che sappia guardare alle sue tradizioni, ma che al tempo stesso sappia interpretare le esigenze del presente e le tendenze per il futuro.
Con queste finalità, in questi anni, sempre con assoluta trasparenza e con piena condivisione, abbiamo attuato riforme strutturali, preso decisioni operative sulla didattica e sulla ricerca scientifica, assunto una posizione chiara ed inequivocabile sull'autonomia dell'Azienda Policlinico e sull'insopprimibile necessità di un lavoro di concerto tra l'Amministrazione dell'Azienda, il rettore e la facoltà di Medicina e chirurgia dell'Ateneo insieme col personale docente, tecnico,­amministrativo e sanitario, al fine di migliorare la qualità della Medicina universitaria. Abbiamo stimolato un maggiore coinvolgimento degli studenti nella vita universitaria e curato una riorganizzazione delle aree e degli uffici amministrativi, anche con l'avvio delle progressioni di carriera del personale tecnico-amministrativo e attraverso i processi di stabilizzazione - per primi tra le università italiane - nelle forme consentite dalla normativa, così da non disperdere le positive esperienze professionali maturate all'interno dell' Ateneo.
Particolare attenzione è stata e continuerà ad essere rivolta ad un problema di rilevante importanza per l'Ateneo e per tanti giovani studiosi: assicurare, per quanto potrà essere possibile, un'occupazione stabile ad una parte dei tanti ricercatori precari presenti nelle facoltà e nei dipartimenti dell'Ateneo, preziose competenze da non disperdere.
Abbiamo, inoltre, lavorato per gli studenti, assumendo l'impegno di accompagnarli nel percorso formativo, garantendo un'attività didattica di qualità alimentata da una ricerca scientifica orientata verso l'eccellenza. E sono gli stessi studenti che hanno ripetutamente manifestato, a ragione, la ferma contrarietà alla riduzione del finanziamento statale alle università, soprattutto a quelle ad amministrazione virtuosa che, come ha fatto il nostro Ateneo, hanno attuato una politica di rigorosa gestione delle risorse.
Il 2009 appena iniziato viene da molti e da più parti indicato come parecchio problematico sul piano economico, quale diretta conseguenza della crisi internazionale che ha caratterizzato l'ultimo quadrimestre dell'anno passato. Sono perciò quanto mai necessari l'impegno e la collaborazione di tutti nella costruzione di migliori condizioni di vita, di un futuro economico che consenta di superare presto le preoccupazioni attuali e che quindi sia assolutamente migliore del presente, di una Università eccellente al servizio di una società solidale nei confronti di quanti hanno bisogno di aiuto e di uscire dalla disoccupazione e dalla precarietà del lavoro.


Roberto Coco