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Anche quest’anno, nell’emisfero settentrionale, il 22/09 si è verificato “l’equinozio d’autunno” (dal lat.: notte uguale): il dì e la notte hanno avuto difatti la stessa durata e la stagione autunnale ha fatto il suo ingresso trionfale.
Ma se in città, nella caotica e pur sempre splendida “Milano del Sud”, distratti dalla frenesia del tran tran quotidiano, ci si rende conto che il tempo passa, sol perché si è costretti ad indossare qualche indumento che tenga più caldi, nei paesini etnei come Biancavilla, appollaiati ai piedi del gigante Mongibello, tutto scorre più lentamente e la stagione autunnale bussa prepotentemente con i suoi colori, i suoi sapori e ancora di più con i suoi profumi.
Basta percorrere le strade più interne del paese, quelle più antiche, fatte di basoli in pietra lavica, con al centro due fascioni di pietre tagliate ed incastonate in modo tale che i carretti di una volta potessero transitare meglio, per accorgersi che tutto qui è ancora tradizione, il tempo sembra essersi fermato.
Appena settembre sta per finire, proprio in questi quartieri, si da il via ad una fucina culinaria frenetica: le signore, dentro i loro grembiuli scuri e fazzoletti neri attaccati alla testa, passano intere settimane preparando, soprattutto, conserve di ogni tipo, che serviranno poi per il prossimo inverno.
Proprio la scorsa settimana, memore di ciò che osservavo quando da piccola giocavo in quelle strade, mi sono recata sul posto a fare una passeggiata: l’odore delle conserve di passata di pomodoro, un classico della cucina siciliana, era pungente.
Fra cassette piene di pomodori, pentoloni meglio noti con il nome di “quadaruni” o “menzaranci”, fra fornelloni enormi che sostituiscono oggi il vecchio “tribodu” (da tripode, un triangolo di ferro con tre piedi che sosteneva la pentola, al di sotto del quale ardeva della legna), mi aggiravo freneticamente cercando di apprendere tutto ciò che queste signore anziane, dalle mani abili, riuscivano ad insegnarmi.
Una vera e propria catena di montaggio: c’era chi lavava i pomodori, chi insaporiva la passata, che intanto si cucinava a fuoco lento, con un po’ di sale e basilico, chi passava a setaccio il tutto e chi imbottigliava, avendo poi cura di mettere le bottiglie bollenti, per evitare che subissero sbalzi di temperatura, o dentro un forno a pietra ancora caldo, o sotto delle coperte di lana.
Chi invece aveva già, nei giorni precedenti, svolto “l’ardua impresa”, si dilettava a preparare dell’altro: l’estratto di pomodoro ad esempio, ovvero dei barattoli con dentro un concentrato di pomodoro, sicuramente molto più saporito della passata semplice, adatto fuor di dubbio per stufati, ragù e piatti più succulenti e saporiti…; i pomodori secchi sott’olio, fatti essiccare al sole tramite “u musciaru”, una stuoia di canne intrecciate, adatta all’operazione perché permette la traspirazione; le olive bianche in salamoia (acqua e sale): grazie al vecchio trucchetto dell’uovo duro, disposto dentro un contenitore pieno d’acqua, si riesce ad indovinare la giusta quantità di sale da mettere (il nostro uovo crudo infatti, come per miracolo, salirà a galla raggiunta l’esatta quantità); e ancora…le olive snocciolate, le olive nere, salate rigorosamente con sale grosso (“u sali finu…- dice la sig. Rosina- “… nan si metti picchì ‘mpica” – ovvero:” il sale fino non si usa perché appiccica”).
Il reparto della conserve sott’olio si conclude con una chicca squisita e afrodisiaca: i peperoncini sott’olio imbottiti di acciughe…
Fra piatti in ceramica , contenenti l’estratto di pomodoro messo ad asciugare al sole, e “musciari”… il colpo d’occhio di queste viuzze era un vero spettacolo.
“Dulcis in fundo” non poteva non mancare chi preparava dolciumi vari: le mie narici, stavolta, vengono solleticate da un odore diverso, una sorta di profumo di zucchero filato.
La signora in fondo alla strada confezionava “i mennuli cunfetti”, ovvero mandorle fatte a forma di confetto: sgusciate, messe ad asciugare al sole per una settimana e poi bagnate in un caramello cremoso, ricavato da zucchero riscaldato; e proprio dall’uscio di fronte veniva fuori l’inebriante odore del vino cotto: il mosto, raccolto prima della fermentazione, fatto ridurre per evaporazione sul fuoco, servirà poi, durante il periodo natalizio, per cucinare i gustosissimi “mostaccioli”, una vera leccornia, di cui, purtroppo, si vanno perdendo le tracce.
In serata, congedandomi da tutte quelle signore che mi avevano divertita, istruita e coccolata per mezza giornata, pensavo fra me e me a quanto sia bello saper cucinare prodotti tipici e tradizionali che caratterizzano i nostri paesini…e a quanto siano buoni!
Francesca Longo
Ma se in città, nella caotica e pur sempre splendida “Milano del Sud”, distratti dalla frenesia del tran tran quotidiano, ci si rende conto che il tempo passa, sol perché si è costretti ad indossare qualche indumento che tenga più caldi, nei paesini etnei come Biancavilla, appollaiati ai piedi del gigante Mongibello, tutto scorre più lentamente e la stagione autunnale bussa prepotentemente con i suoi colori, i suoi sapori e ancora di più con i suoi profumi.
Basta percorrere le strade più interne del paese, quelle più antiche, fatte di basoli in pietra lavica, con al centro due fascioni di pietre tagliate ed incastonate in modo tale che i carretti di una volta potessero transitare meglio, per accorgersi che tutto qui è ancora tradizione, il tempo sembra essersi fermato.
Appena settembre sta per finire, proprio in questi quartieri, si da il via ad una fucina culinaria frenetica: le signore, dentro i loro grembiuli scuri e fazzoletti neri attaccati alla testa, passano intere settimane preparando, soprattutto, conserve di ogni tipo, che serviranno poi per il prossimo inverno.
Proprio la scorsa settimana, memore di ciò che osservavo quando da piccola giocavo in quelle strade, mi sono recata sul posto a fare una passeggiata: l’odore delle conserve di passata di pomodoro, un classico della cucina siciliana, era pungente.
Fra cassette piene di pomodori, pentoloni meglio noti con il nome di “quadaruni” o “menzaranci”, fra fornelloni enormi che sostituiscono oggi il vecchio “tribodu” (da tripode, un triangolo di ferro con tre piedi che sosteneva la pentola, al di sotto del quale ardeva della legna), mi aggiravo freneticamente cercando di apprendere tutto ciò che queste signore anziane, dalle mani abili, riuscivano ad insegnarmi.
Una vera e propria catena di montaggio: c’era chi lavava i pomodori, chi insaporiva la passata, che intanto si cucinava a fuoco lento, con un po’ di sale e basilico, chi passava a setaccio il tutto e chi imbottigliava, avendo poi cura di mettere le bottiglie bollenti, per evitare che subissero sbalzi di temperatura, o dentro un forno a pietra ancora caldo, o sotto delle coperte di lana.
Chi invece aveva già, nei giorni precedenti, svolto “l’ardua impresa”, si dilettava a preparare dell’altro: l’estratto di pomodoro ad esempio, ovvero dei barattoli con dentro un concentrato di pomodoro, sicuramente molto più saporito della passata semplice, adatto fuor di dubbio per stufati, ragù e piatti più succulenti e saporiti…; i pomodori secchi sott’olio, fatti essiccare al sole tramite “u musciaru”, una stuoia di canne intrecciate, adatta all’operazione perché permette la traspirazione; le olive bianche in salamoia (acqua e sale): grazie al vecchio trucchetto dell’uovo duro, disposto dentro un contenitore pieno d’acqua, si riesce ad indovinare la giusta quantità di sale da mettere (il nostro uovo crudo infatti, come per miracolo, salirà a galla raggiunta l’esatta quantità); e ancora…le olive snocciolate, le olive nere, salate rigorosamente con sale grosso (“u sali finu…- dice la sig. Rosina- “… nan si metti picchì ‘mpica” – ovvero:” il sale fino non si usa perché appiccica”).
Il reparto della conserve sott’olio si conclude con una chicca squisita e afrodisiaca: i peperoncini sott’olio imbottiti di acciughe…
Fra piatti in ceramica , contenenti l’estratto di pomodoro messo ad asciugare al sole, e “musciari”… il colpo d’occhio di queste viuzze era un vero spettacolo.
“Dulcis in fundo” non poteva non mancare chi preparava dolciumi vari: le mie narici, stavolta, vengono solleticate da un odore diverso, una sorta di profumo di zucchero filato.
La signora in fondo alla strada confezionava “i mennuli cunfetti”, ovvero mandorle fatte a forma di confetto: sgusciate, messe ad asciugare al sole per una settimana e poi bagnate in un caramello cremoso, ricavato da zucchero riscaldato; e proprio dall’uscio di fronte veniva fuori l’inebriante odore del vino cotto: il mosto, raccolto prima della fermentazione, fatto ridurre per evaporazione sul fuoco, servirà poi, durante il periodo natalizio, per cucinare i gustosissimi “mostaccioli”, una vera leccornia, di cui, purtroppo, si vanno perdendo le tracce.
In serata, congedandomi da tutte quelle signore che mi avevano divertita, istruita e coccolata per mezza giornata, pensavo fra me e me a quanto sia bello saper cucinare prodotti tipici e tradizionali che caratterizzano i nostri paesini…e a quanto siano buoni!
Francesca Longo