La nipote prediletta del Gran Conte Ruggero visse ed operò nello spirito del Cristianesimo, il quale si è manifestato nel Medioevo con una grande diffusione di monasteri nei quali molti uomini e donne, alcuni dei quali benestanti, lasciati i loro beni, si ritirarono in quei luoghi attratti da una vita ascetica e contemplativa.
Dopo la caduta dell’impero romano, si deve, proprio all’opera certosina degli occupanti i monasteri, se oggi si possono consultare opere di scrittori e poeti vissuti in tempi antichissimi, che altrimenti sarebbero stati irrimediabilmente perdute.
La nostra Contessa Adelicia, durante la reggenza della Contea di Adernò, si dedicò, in modo particolare, alla diffusione dello spirito cristiano con la costruzione di chiese (chiesa e cenobio di Sant’Elia, chiesa di Santa Maria della Grazia, chiesa di Santa Maria del Gesù, cenobio di Santa Maria di Robore Grosso, chiesa di Santa Domenica e Venera) e principalmente con la istituzione del Monastero di Santa Lucia, attraverso gli atti del 1158: atto di fondazione, atto di dotazione, atto di accettazione.
Entrando nella chiesa di Santa Lucia verso il crepuscolo, quando le prime ombre incominciano a fasciare i marmorei altari e le immagini sacre sopra esposte, socchiudendo gli occhi, si possono immaginare sprazzi di vita monacale, mentre dalle apposite nicchie con le grate si percepisce la presenza di tante monache dedite alla preghiera, che si sono succedute in tanti secoli.
Ed ancora un momento di intimo raccoglimento ci è dato dalla forma ellittica della chiesa, che, partendo dal pronao, con un’armonica doppia curva, abbraccia tutta la sala desinata ai fedeli per chiudersi nell’abside con il marmoreo altare maggiore con il suo pregiato paliotto in marmo in cui è scolpita, in bassorilievo, l’ultima cena.
Ma sopra di tutti aleggia la figura di Adelicia, la quale, dopo la perdita prematura del marito, in profonda meditazione, lascia tutti i suoi beni materiali e il potere per involarsi verso il Bene Supremo.
Nessun dipinto o schizzo grafico ci è pervenuto per materializzare questa nobile figura; la si può immaginare inginocchiata in preghiera in quella chiesa che lei ha fortemente voluta, anche se non l’ha vista materialmente, perché la costruzione sia del monastero che della chiesa di oggi sono posteriori alla sua morte.
Ma è ancora leggendo, all’interno della chiesa, le lapidi marmoree, le quali riassumono le vicende del Gran Conte Ruggero, le sue azioni contro i Saraceni, la cristianità del popolo adornese, che marcatamente esce fuori il personaggio di Adelica e la sua dedizione verso Adrano.
Una di queste lapidi chiude proprio con questa invocazione a Dio: “Da gloriam a Deo et tantae benefactrici requiem deprecare lector et abi”. (O lettore, riconosci gloria a Dio, prega per una così grande benefattrice e va via).
Angelo Abbadessa
Dopo la caduta dell’impero romano, si deve, proprio all’opera certosina degli occupanti i monasteri, se oggi si possono consultare opere di scrittori e poeti vissuti in tempi antichissimi, che altrimenti sarebbero stati irrimediabilmente perdute.
La nostra Contessa Adelicia, durante la reggenza della Contea di Adernò, si dedicò, in modo particolare, alla diffusione dello spirito cristiano con la costruzione di chiese (chiesa e cenobio di Sant’Elia, chiesa di Santa Maria della Grazia, chiesa di Santa Maria del Gesù, cenobio di Santa Maria di Robore Grosso, chiesa di Santa Domenica e Venera) e principalmente con la istituzione del Monastero di Santa Lucia, attraverso gli atti del 1158: atto di fondazione, atto di dotazione, atto di accettazione.
Entrando nella chiesa di Santa Lucia verso il crepuscolo, quando le prime ombre incominciano a fasciare i marmorei altari e le immagini sacre sopra esposte, socchiudendo gli occhi, si possono immaginare sprazzi di vita monacale, mentre dalle apposite nicchie con le grate si percepisce la presenza di tante monache dedite alla preghiera, che si sono succedute in tanti secoli.
Ed ancora un momento di intimo raccoglimento ci è dato dalla forma ellittica della chiesa, che, partendo dal pronao, con un’armonica doppia curva, abbraccia tutta la sala desinata ai fedeli per chiudersi nell’abside con il marmoreo altare maggiore con il suo pregiato paliotto in marmo in cui è scolpita, in bassorilievo, l’ultima cena.
Ma sopra di tutti aleggia la figura di Adelicia, la quale, dopo la perdita prematura del marito, in profonda meditazione, lascia tutti i suoi beni materiali e il potere per involarsi verso il Bene Supremo.
Nessun dipinto o schizzo grafico ci è pervenuto per materializzare questa nobile figura; la si può immaginare inginocchiata in preghiera in quella chiesa che lei ha fortemente voluta, anche se non l’ha vista materialmente, perché la costruzione sia del monastero che della chiesa di oggi sono posteriori alla sua morte.
Ma è ancora leggendo, all’interno della chiesa, le lapidi marmoree, le quali riassumono le vicende del Gran Conte Ruggero, le sue azioni contro i Saraceni, la cristianità del popolo adornese, che marcatamente esce fuori il personaggio di Adelica e la sua dedizione verso Adrano.
Una di queste lapidi chiude proprio con questa invocazione a Dio: “Da gloriam a Deo et tantae benefactrici requiem deprecare lector et abi”. (O lettore, riconosci gloria a Dio, prega per una così grande benefattrice e va via).
Angelo Abbadessa