estainchi estainchi
turacul turacul
Onorevole Burtone, il suo collega Nania ha parlato della necessità che in Italia oggi si ricominci a respirare lo spirito costituente del 1948. Lei che ne pensa?
Potrà sembrare strano, ma condivido l’analisi di Nania. Mai come oggi, la politica italiana ha il compito di avviare un processo che ci porti in tempi relativamente brevi all’avvio di una nuova fase costituente. Il sistema politico italiano necessita di una riconsiderazione degli assetti istituzionali per raggiungere efficienza e garantire la nascita di una politica che decide.
Lei è stato uno storico rappresentante politico della Democrazia Cristiana. Che cosa non ha funzionato, secondo lei, nella Prima Repubblica?
La Prima Repubblica pagò il fatto di essere sostanzialmente una democrazia bloccata, dove non c’era alternanza. Il Pci, pur essendo il secondo partito italiano con percentuali alte, non “poteva” entrare nel governo del paese. Dall’altro lato, il Msi era fuori dall’arco costituzionale. In sintesi, il sistema politico italiano era negativamente influenzato dagli equilibri internazionali del dopoguerra. Il bilanciamento esisteva a livello locale: molti sindaci erano comunisti. Ma non c’era a Roma. Questo non poteva non avere contraccolpi negativi nelle decisioni politiche.
Detto così sembrerebbe che per lei la Prima Repubblica non ebbe meriti. E’ così?
Assolutamente no. La Prima Repubblica ebbe enormi meriti: fu protagonista nella rinascita italiana del dopoguerra, favori la trasformazione del nostro paese, che da agricolo divenne a vocazione industriale, difese la nostra democrazia. Sono meriti storici inequivocabili e straordinariamente rilevanti dal punto di vista politico.
Secondo lei la Prima Repubblica cadde perché scoppiò Tangentopoli?
Secondo me, non fu solo Tangentopoli a smantellare la Prima Repubblica. Il sistema era in crisi profonda, anche senza le inchieste giudiziarie. A livello locale, per esempio, le maggioranze cadevano dopo pochi mesi. Tutti si accorgevano che la situazione non poteva continuare in questa maniera.
Poi venne la cosiddetta Seconda Repubblica, Berlusconi…
Sicuramente la discesa in campo di Berlusconi rappresentò una novità nello scenario politico italiano. Il suo potere economico, l’idea del partito-azienda, la politica dell’immagine e lo sfuttamento dei media sono novità che la politica italiana non conosceva, ma questo non significa che siano stati tutti fenomeni positivi. Anzi, secondo me non lo sono per niente: non può un presidente del consiglio gestire un potere economico così vasto e possedere nello stesso tempo tre televisioni e un numero cospicuo di giornali e riviste. Non succede in nessuna democrazia…
Potrà sembrare strano, ma condivido l’analisi di Nania. Mai come oggi, la politica italiana ha il compito di avviare un processo che ci porti in tempi relativamente brevi all’avvio di una nuova fase costituente. Il sistema politico italiano necessita di una riconsiderazione degli assetti istituzionali per raggiungere efficienza e garantire la nascita di una politica che decide.
Lei è stato uno storico rappresentante politico della Democrazia Cristiana. Che cosa non ha funzionato, secondo lei, nella Prima Repubblica?
La Prima Repubblica pagò il fatto di essere sostanzialmente una democrazia bloccata, dove non c’era alternanza. Il Pci, pur essendo il secondo partito italiano con percentuali alte, non “poteva” entrare nel governo del paese. Dall’altro lato, il Msi era fuori dall’arco costituzionale. In sintesi, il sistema politico italiano era negativamente influenzato dagli equilibri internazionali del dopoguerra. Il bilanciamento esisteva a livello locale: molti sindaci erano comunisti. Ma non c’era a Roma. Questo non poteva non avere contraccolpi negativi nelle decisioni politiche.
Detto così sembrerebbe che per lei la Prima Repubblica non ebbe meriti. E’ così?
Assolutamente no. La Prima Repubblica ebbe enormi meriti: fu protagonista nella rinascita italiana del dopoguerra, favori la trasformazione del nostro paese, che da agricolo divenne a vocazione industriale, difese la nostra democrazia. Sono meriti storici inequivocabili e straordinariamente rilevanti dal punto di vista politico.
Secondo lei la Prima Repubblica cadde perché scoppiò Tangentopoli?
Secondo me, non fu solo Tangentopoli a smantellare la Prima Repubblica. Il sistema era in crisi profonda, anche senza le inchieste giudiziarie. A livello locale, per esempio, le maggioranze cadevano dopo pochi mesi. Tutti si accorgevano che la situazione non poteva continuare in questa maniera.
Poi venne la cosiddetta Seconda Repubblica, Berlusconi…
Sicuramente la discesa in campo di Berlusconi rappresentò una novità nello scenario politico italiano. Il suo potere economico, l’idea del partito-azienda, la politica dell’immagine e lo sfuttamento dei media sono novità che la politica italiana non conosceva, ma questo non significa che siano stati tutti fenomeni positivi. Anzi, secondo me non lo sono per niente: non può un presidente del consiglio gestire un potere economico così vasto e possedere nello stesso tempo tre televisioni e un numero cospicuo di giornali e riviste. Non succede in nessuna democrazia…
Le elezioni dello scorso aprile hanno di fatto dato vita ad una forma di bipartitismo. Lo possiamo considerare come l’atto di nascita della “Terza Repubblica”?
La nascita del Partito Democratico e del Popolo delle Libertà ha sicuramente favorito una semplificazione dello scenario parlamentare. Ma io credo che il cammino sia ancora lungo per la nascita di un vero bipartitismo, maturo ed efficiente. Il bipartitismo deva ancora maturare per diventare stabile. Gli stessi partiti devono ancora lavorare per formare e far crescere al proprio interno una vera classe dirigente. Solo allora potremo parlare di Terza Repubblica.
La nascita del Partito Democratico e del Popolo delle Libertà ha sicuramente favorito una semplificazione dello scenario parlamentare. Ma io credo che il cammino sia ancora lungo per la nascita di un vero bipartitismo, maturo ed efficiente. Il bipartitismo deva ancora maturare per diventare stabile. Gli stessi partiti devono ancora lavorare per formare e far crescere al proprio interno una vera classe dirigente. Solo allora potremo parlare di Terza Repubblica.
Enrico Indelicato